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Humana Communitas. Interconnessa e fragile

La Humana Communitas – evocata a gennaio da Papa Francesco – si è accorta di essere connessa e interdipendente. La crisi ha reso la tecnologia digitale una risorsa primaria per unire ciò che il virus aveva separato: famiglie, colleghi, amici.

L’Italia ha fatto uno scatto in avanti che, in tempi normali, avrebbe richiesto cinque, se non dieci anni di lavoro. Si è trattato di un salto obbligato, scomposto e non privo di rischi che ci ha portato in una posizione nuova. Non dimentichiamo che, nel 2019, l’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società della Commissione Europea collocava il nostro paese al 24mo posto su 28, insieme a Bulgaria, Romania, Grecia e Polonia.

Il digital divide italiano è imputabile a molti fattori: limitata copertura della banda larga ultraveloce; assenza di una rete wifi gratuita e capillare in tutto il paese; scarse competenze digitali di base nella popolazione; modesto uso di internet per servizi di cittadinanza digitale o e-commerce ed insufficiente investimento strategico nelle tecnologie digitali emergenti.

A pandemia ancora in corso, pare evidente che la forbice del digital divide si stia allargando acuendo l’esclusione sociale, culturale ed economica di ampie fasce di popolazione. Un esempio emblematico è costituito dalla formazione: a scuole chiuse, solo i bambini dotati di un device e di una connessione ad Internet possono proseguire con la didattica.

Se in condizioni normali l’accesso alla Rete è un diritto fondamentale della persona – come sancito nel 2012 dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite – il valore del digitale si fa inestimabile in una fase di emergenza come questa.

Nel mese di marzo, il divario fra “i digitalizzati” e gli altri si è fatto preoccupante. Anziani, nuclei fragili, persone diversamente abili, nuovi italiani, detenuti, senzatetto hanno visto rarefarsi le reti relazionali e di supporto secondario cui normalmente hanno accesso.

Il Corriere della Sera ha definito questo fenomeno Onlife divide perché restare indietro nel 2020 significa non godere di un’esistenza completa, la cui pienezza sta nel continuum – inseparabile – fra online e offline. Chi non sa muoversi fra i due mondi è destinato a restare indietro.

In un mese abbiamo compreso che smaterializzazione non è sinonimo di assenza. È ora di pensare a come il digitale può farsi opportunità di benessere e resilienza. Serve un Digital Welfare. MEET intende fare la sua parte, a partire dal sostegno a piattaforme ed esperienze educative digital-first fino alla sperimentazione di format originali per la cultura.

 

Foto in apertura: Flickr | Andrea Pass

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