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Fuori Pixar – Il cinema degli elementi: acqua

L’acqua, nella sua misteriosa e vasta dimensione, quella oceanica, è un mondo a parte vicino eppure lontanissimo quanto lo spazio galattico. Un universo liquido parzialmente inesplorato quindi un luogo ideale per ambientarvi opere fantastiche e avventurose come intuì Jules Verne con il suo Ventimila Leghe sotto i Mari. Un libro che si rivelò fondamentale non solo per la nascita di una fantascienza marina che trova il suo culmine nella letteratura di Artur C. Clarke, il creatore di 2001 Odissea nello Spazio e di romanzi sci-fi acquatici come I Guardiani del Mare e Le Porte dell’Oceano, ma soprattutto per il cinema, dalle sue origini.

Nel 1907 Georges Méliès , pioniere della settima arte, fece di “Ventimila Leghe” un visionario adattamento.
Il profondo blu del Verne di Méliès e successivamente quello dell’adattamento disneyano del 1954 diretto dal veterano del cinema d’avventura Richard Fleischer ci narrano del mare, come nel romanzo, da un punto di vista antropocentrico perché è l’uomo al centro della storia, e non i pesci.

Fu un regista “insospettabile” come Roberto Rossellini, il maestro del cinema italiano autore di Roma Città Aperta e altri capolavori, a girare alla fine degli anni ‘30 Fantasia Sottomarina, un film che può essere considerato un precursore di Alla Ricerca di Nemo perché ci racconta una storia in cui gli unici personaggi sono proprio gli abitanti del mare.
Rossellini utilizzò un grande acquario per realizzarlo, inventando gli scenari e procurandosi ogni mattina gli “attori” vicino a Civitavecchia. Una scelta registica dettata dall’epoca e dalla tensione verso l’osservazione della realtà del maestro, eppure anche il primo passo che fecero gli artisti della Pixar fu proprio quello di immergersi e osservare l’ecosistema marino dal vivo, scoprendo così che nel loro Nemo non avrebbero avuto bisogno di rendere troppo caricaturali i pesci poiché l’evoluzione li aveva già forniti di aspetti caratteristici “cartoonistici” a priori.

Alla Ricerca di Nemo è un’epopea sottomarina più che una fantasia, la storia di un viaggio in cui ci si dimentica che ciò che vediamo è realizzato in computer graphic e soprattutto che non parliamo la lingua dei pesci. Questo non solo per la loro sublime rappresentazione e caratterizzazione ma soprattutto per come l’ambiente in cui vivono sia veritiero.

Neanche le macchine da presa di documentaristi come Cousteau e più recentemente James Cameron nel suo abissale Aliens of the Deep, sono riusciti, paradossalmente, a mostrarci un profondo blu plausibile come quello del film di Pixar. Questo perché immergersi nel fondo del mare, osservarne i colori, la fauna e la flora è un’esperienza di fatto “fantastica” e soggettiva.
Le tinte della realtà, anche se filmate attraverso l’alta definizione, risultano sfocate e impersonali rispetto alla visione sia verista che fantasiosa che ne può offrire un film animato tradizionalmente come Ponyo sulla Scogliera di Miyazaki o in computer graphic come Nemo.
È un po’ come il microcosmo acquatico delle gocce di pioggia, nessuna pellicola è fin’ora riuscita a filmarla e restituirla come la vediamo davvero, bisogna disegnarla, scriverla o suonarla.
Le piogge più “vere” mai rappresentate sono altrove, come all’inizio del pioneristico corto di Pixar Il Sogno di Red oppure nel videogioco pluviale Heavy Rain.

I pesci e gli animali raccontati in Alla Ricerca di Nemo possiedono evidenti caratteristiche umane che li differenziano dalle specie a cui appartengono e li rendono simili all’homo sapiens sapiens della modernità. Eppure nel film ci sono anche gli esseri umani. Se quindi l’ecosistema ittico è una metafora della nostra società, di cosa sono simbolo gli uomini presenti nel film? Non sono bestie né mostri, sebbene facciano paura. Sono solo inconsapevolmente cattivi, della stessa cattiveria idiota e imperscrutabile di una catastrofe naturale che, come uno tsunami o un terremoto, precipita d’improvviso nella vita della gente causando rovina e sfacelo.

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