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Vivere nello Smart System. Il domani che progettiamo

Con quali mappe guardiamo al futuro? In che modo il presente – specie un presente così complesso e contraddittorio come quello che viviamo – dà forma al domani? Sono domande che ronzano nella testa di molti di noi, forse di tutti.
Qualche tempo fa, Maria Grazia Mattei (ndr Presidente di MEET e Direttore di Meet the Media Guru) ha scritto un pezzo per Il Corriere della Sera tratteggiando il concetto di Smart System, l’ambiente iperconnesso, frammentato, talvolta confuso che sperimentiamo ogni giorno. È il nostro presente, caratterizzato da una offerta continua e pervasiva di strumenti sempre più smart. La tecnologia sembra essersi accomodata al volante, ma per andare dove? Prima di sbagliare rotta, fermiamoci un attimo e mettiamo in ordine i pezzi.

Non è la tecnologia ad aver cambiato il nostro presente, ma semmai il contrario. L’emergere di bisogni nuovi – spostamenti più veloci, comunicazione in tempo reale, relazioni liquide, spazi urbani flessibili – ha alimentato questo “mercato” tecnologico. Un esempio? Pensiamo alla realtà virtuale: le prime sperimentazioni risalgono a oltre trent’anni fa. A quei tempi la moltiplicazione del livelli di realtà era il futuro più spinto che si potesse immaginare. Oggi è la norma.  Ritroviamo la VR ovunque, dal Festival del Cinema di Venezia agli allestimenti commerciali più semplici. Dal particolare al generale possiamo dire che ci troviamo davanti a fenomeni nascenti, ma alla loro consacrazione: il momento cioè in cui idee creative (con qualche decennio di storia) sono supportate da tecnologie sufficientemente potenti per trasformarle in beni di largo consumo.

Senza sminuire hardware e software di cui nessuno vorrebbe più fare a meno, occorre comprendere che sono “semplicemente” le avanguardie smart – e anche pop – di un fenomeno ben più profondo che ci attende al varco: la progressiva e già avviata metamorfosi del rapporto uomo-macchina.

Se fino a qualche anno fa, le superfici di contatto fra noi e il mondo tecnologico erano in larga parte le mani – le usavamo per scrivere sul computer o digitale un sms al cellulare – oggi non è più così. Grazie agli smart materials, decine di informazioni digitali entrano in relazione diretta e continuata con tutto il nostro corpo, fino a varcare un’ultima frontiera, quella della pelle arrivando ad entrare dentro di noi, come accade in Svezia, dove migliaia di persone hanno scelto di farsi impiantare dei microchip-cartà d’identità. Fantascienza? No, presente. Lecito partire da qui per immaginare il futuro. Già oggi le macchine – più o meno intelligenti – potenziano i nostri limiti biologici: si fanno letteralmente carico di mansioni per noi usuranti o pericolose; tengono traccia di quantità di dati che la nostra memoria mai riuscirebbe ad immagazzinare; offrono ai nostri occhi prospettive impensate e altrimenti impossibili.

Presto avremo a disposizione macchine capaci non solo di imparare da noi, ma soprattutto di auto-apprendere e “riprogrammarsi” per mansioni a cui non erano originariamente destinate. Stiamo parlando di macchine più forti, resistenti, meno volubili e più intelligenti di noi tutti. Sarà difficile, se non impossibile, farne a meno. Ragionevolmente diventeranno supporti insostituibili e costituiranno nient’altro che uno dei tanti aspetti della nostra quotidianità futura, una realtà in cui digitale e fisico, uomo e macchina, vivranno in una simbiosi inestricabile.

[Un fotogramma dal cortometraggio Hyper-Reality di Keiichi Matsuda]

Keiichi Matsuda, regista e designer inglese di origine giapponese, ha coniato per questo “nuovo stato dell’essere” il nome di Iperrealtà per raccontare come il sovrapporsi di atomi e bit, di materia fisica e virtuale, sia un continuum sovrapposto e non una stanza con la porta chiusa. Ad attraversare quella porta verso il futuro saremo noi, istintivamente ancorati a codici culturali, sociali ed economici che conosciamo, ma che restano figli di un altro tempo.

È legittimo un senso di smarrimento davanti a tanta complessità, ma ritrarsi inorriditi non serve a nulla. Ci muoviamo in un’ampia zona d’incertezza condivisa, tante le domande senza risposta: l’Intelligenza Artificiale è un rischio per l’Umanità? I Big Data incidono sulla nostra privacy? Internet aiuta o no la democrazia? Per non esserne paralizzati, occorre “addomesticarla” questa complessità o, ancor meglio, progettarla. Come? Noah Raford, Futurist-in-Chief della Dubai Future Foundation, direttore del relativo Museo del Futuro e prossimo ospite di Meet the Media Guru ha qualche idea al riguardo (lo conosceremo il 28 settembre a Palazzo Reale. Iscriviti qui).

Raford definisce il nostro presente volatile, incerto, complesso e ambiguo, ma anche foriero di eccezionali opportunità per disegnare un futuro che aderisca ai bisogni nostri e della comunità in cui viviamo. Sono due le leve che Raford ritiene essenziali per attivare questo processo, al contempo individuale e collettivo: la prima è la creatività e la seconda è l’ispirazione. Solo se singolo e collettività lavorano insieme può esistere un futuro “progettato” e non accidentalmente “successo”.

Mentre il singolo è chiamato a (ri)trovare il suo “centro di gravità permanente” riconfigurando la propria scala di valori, aderendo a nuovi riti e facendosi portatore di istanze emergenti, le organizzazioni devono fare altrettanto. Come? Anche in questo caso, Raford individua alcune possibilità: farsi aiutare dal dialogo interdisciplinare (arte e scienza; filosofia e informatica; coding e musica…), condividere sapere in modo orizzontale grazie all’intelligenza collettiva, imparare dall’esperienza e non solo dalla tradizione.

Per noi di MEET progettare il futuro è senz’altro un esercizio di creatività e ispirazione a cui occorre aggiungere un prerequisito fondamentale: la cultura digitale ovvero la grammatica, la storia e i valori fondativi che ci hanno portato fin qui. Serve irrobustire la consapevolezza che non sono le tecnologie spicciole ad aver avviato la metamorfosi epocale nella quale siamo immersi, quanto piuttosto la commistione di saperi, ricerche, tentativi e fallimenti transdisciplinari di cui gli apparati e i software, i linguaggi creativi più nuovi, persino i robot intelligenti, costituiscono il più compiuto risultato.  Con questa missione di disseminazione è nato MEET, il centro di cultura digitale voluto da Meet the Media Guru con Fondazione Cariplo.

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