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Lasseter, Giotto e l'arte del colore

La creazione dei colori, intesa come lo studio teorico e la seguente realizzazione di una serie di reazioni chimiche tra i pigmenti e gli elementi che servono per creare una tinta che sia applicabile sul legno, sul vetro o sulla tela, è un procedimento complesso quanto quello della sua applicazione artistica: la pittura.

“Costruire” una tinta è una disciplina la cui origine affonda nelle nebbie ancestrali della preistoria umana, diventa materia alchemica nel medioevo, prassi artigianale nel rinascimento, produzione industriale nel ‘900 storico e infine si trasfigura in numeri nei processori grafici dei calcolatori.

Così come mutano e si evolvono le modalità di inventare i colori cambiano le tecniche per utilizzarli; tuttavia ciò non significa che nell’era dei computer la pittura tradizionale sia al crepuscolo come non lo era quando si passò dai colori ad olio a quelli acrilici. L’esigenza umana di rappresentare oggetti e idee non cessa di essere, sono gli stili e l’estetica a scorrere cangianti nel corso del tempo e un pennello virtuale può sostituirne uno di legno e peli di scoiattolo per affrescare di colori numerici i fotogrammi di una pellicola.

Nei film di John Lasseter, un autore di quadri in movimento che sono sia cinema che pittura cinetica, si trova così una sintesi meravigliante di tutta la storia dell’arte e la sua opera dimostra come la tensione al movimento e al racconto che da esso scaturisce sia sempre stata un elemento fondamentale del dipingere. Se si osserva, per esempio, il ciclo di affreschi che Giotto realizzò per la Cappella degli Scrovegni a Padova si può constatare la corrispondenza intima, ovviamente non tematica, che c’è tra i fotogrammi di un film animato in computer graphic e quest’opera, salvo che nella visione della “serie” del pittore di Vespignano è l’occhio umano che mette in sequenza i quadri e ne ricava una storia, illudendosi che i corpi e lo spazio si muovano nel tempo. La pittura ha sempre fatto leva sull’illusione, come il cinema, sopratutto quello animato.

Il cielo blu e l’azzurro profondo degli uccelli di For The Birds, corto del 2001 di cui Lasseter è executive producer, ricordano la tinta utilizzata da Giotto, un colore che all’epoca del pittore era raro e dai costi molto elevati, perché derivava dalla triturazione del lapislazzulo.

Quello del corto Pixar è un colore inattuale e innaturale, un turchese quasi estinto. Ricreato come omaggio alla storia dell’arte.

Un altro elemento pittorico fondamentale nelle opere di Lasseter nasce proprio dalla negazione, o meglio dal contrario, di un tipo di rappresentazione pittorica: la natura morta.

Gli oggetti del cinema di Lasseter compongono invece una “natura viva”, anche quelli dai quali ci si aspetterebbe una stasi decorativa o funzionale: lampade, monocicli, giocattoli. L’assenza di vita, la non-animazione caratteristica del genere della “natura morta”, è il brodo primordiale da cui sono nati, ribellandosi all’immobilità, gli oggetti senzienti e mobili che abitano i film di Lasseter e della Pixar.

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