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Il futuro del lavoro raccontato dall’M.I.T.

Si intitola The Work of the Future, è il report pubblicato il 17 novembre scorso da M.I.T., università statunitense d’eccellenza per quanto riguarda la ricerca scientifica e tecnologica. Nella primavera 2018 M.I.T ha creato una task force dedicata al tema del futuro del lavoro a partire dall’impatto degli avanzamenti scientifici e tecnologici su produttività, occupazione e scenario socio-economico. A due anni dall’avvio dei lavori, è stata presentato il frutto della ricerca, nel pieno di una crisi economica e occupazionale senza precedenti.

The Work of the Future è liberamente scaricabile in rete: si compone di 92 pagine dense di contenuti molto interessanti firmate da tre personalità di spicco del mondo accademico statunitense, David Autor, titolare della cattedra di economia e co-direttore del Labor Studies Program del National Bureau of Economic Research statunitense; David Mindell, docente di aeronautica e astronautica oltre che di storia dell’ingegneria; Elisabeth Reynolds, a capo della ricerca nonché direttrice dell’MIT Industrial Performance Center, che hanno lavorato insieme a 20 colleghi di 12 diversi dipartimenti e 20 studenti già laureati.

Fin dal sottotitolo, Building Better Jobs in an Age of Intelligent Machines, la ricerca indica una traiettoria, “costruire lavori migliori nell’era delle macchine intelligenti”. Ma come si fa? Nell’abstract del report sono disseminate analisi e prospettive mai banali. Scrivono gli autori: «In un ecosistema tecnologico che offre una produttività crescente e un’economia che genera molti posti di lavoro (almeno fino alla crisi del COVID-19), abbiamo trovato un mercato del lavoro in cui i frutti sono così disegualmente distribuiti, così inclinati verso l’alto che i lavoratori hanno assaggiato solo un minuscolo boccone di un vasto raccolto».

Flickr | Niklas Tenhaef

Gli autori di The Work of the Future tratteggiando poi alcune “disfunzioni” del mercato del lavoro contemporaneo con una prospettiva molto nord-americana, in fondo non così lontana dalla nostra: lavori poco pagati e precari; “ascensore sociale” praticamente fermo; disparità di guadagni e di occupazione tra generi ed etnie. Ad incepparsi, sottolinea il report di MIT, è stato il meccanismo per cui ad un tasso maggiore di produttività ci si attende che i salari crescano.

«Sebbene le nuove tecnologie abbiano contribuito a questi scarsi risultati, questi risultati non sono stati una conseguenza inevitabile del cambiamento tecnologico, né della globalizzazione, né delle forze di mercato – sostengono Autor, Mindell e Reynolds – (…) L’interazione dinamica tra automazione delle attività, innovazione e creazione di nuovo lavoro, sebbene sempre dirompente, è una fonte primaria dell’aumento della produttività».

Inutile nascondersi che spesso non è andata così. Chi firma il report The Work of the Future è convinto che l‘errore stia nel disaccoppiamento fra innovazione e opportunità. Se le macchine vengano percepite come “ladre” di lavoro, cresce la paura e, a dirlo sono i professori di MIT, «gli ultimi quattro decenni di storia economica danno credito a questa paura».

Da Cambridge, la cittadina a due passi da Boston dove l’M.I.T. ha sede, il messaggio arriva con chiarezza cristallina. Occorre «costruire un futuro per il lavoro che raccolga i dividendi dell’automazione in rapido progresso e computer sempre più potenti per offrire opportunità e sicurezza economica ai lavoratori». Per abbracciare la sfida, è necessario modernizzare «le leggi, le politiche, le norme, le organizzazioni e le imprese che stabiliscono le “regole del gioco”».

Foto in apertura: Flickr | Alan Levine

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