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Il lavoro e le sue narrazioni di Richard Sennett

Il lavoro per immagini

Manuel Castells ha definito l’economia politica di oggi come “uno spazio dei flussi”. Uno dei suoi argomenti chiave è che grazie alle nuove tecnologie, l’economia globale opera in un tempo reale; ciò che accade ai mercati azionari di Londra o New York si ripercuote istantaneamente a Singapore o Johannesburg; dal punto di vista produttivo, un codice informatico scritto a Mumbai può essere utilizzato dall’IBM proprio come un codice scritto in quello stesso momento (con costi maggiori) nel quartier generale di Armonk, New York. Castells definisce tale condizione “tempo senza tempo” e viene incorporata dallo schermo del computer, che è il grande simbolo della nostra epoca, la tecnologia dell’immagine per eccellenza, una finestra sopra l’altra, senza alcuna relazione temporale: immagine pura.

Questo “tempo senza tempo” alimentato dalla tecnologia, questo comportamento aziendale basato sull’adesso, unicamente sull’adesso, è un regime capitalista che dovrebbe adattarsi perfettamente all’impulso sociologico classico di congelare il tempo, di descrivere e analizzare un’immagine. L’economia politica moderna è un linguaggio dell’immagine. Tuttavia, l’immediatezza stessa dell’immagine è repressiva.

Consentitemi un esempio basato sui programmi informatici utilizzati nella produzione hi-tech. Questi programmi sono progettati in modo che i loro normali utenti possano cliccare su delle semplicissime icone presenti sullo schermo per eseguire delle operazioni. Questo si addice a una forza lavoro caratterizzata da elevati livelli di turnover, con una curva di apprendimento ridotta. Si dice che l’informatizzazione renda il lavoro immediatamente comprensibile, ma questo significa anche giudicare il presente in base agli standard delle macchine industriali del passato. I sistemi moderni sono poco chiari per operatori di basso livello, i quali non possono capire il contenuto del programma, né tanto meno modificarlo. Nella mia ricerca, ho studiato questa scarsa chiarezza in un panificio computerizzato: gli operatori lavorano premendo semplici icone su uno schermo, ma questi panettieri non sanno cuocere il pane. Il pane, di per sé, è di buona qualità, ma il lavoro è dequalificante e genera uno scarso attaccamento all’abilità artigianale. Come mi ha detto un operatore, “un pulsante è un po’ come una sorta di messaggio; in ogni caso, tra sei mesi sarò fuori di qui”.

Questi operatori, diversamente dalla generazione precedente di panettieri che ho studiato nello stesso stabilimento nel 1970, non traggono un particolare senso di identità dal loro lavoro. Il lavoro per immagini lo re- prime.
Inoltre, il lavoro per immagini, non è in sincronia con il corpo del lavoratore il quale, come ogni organismo, cresce e invecchia; gli esseri viventi non sono immagini fisse. Ecco perché ho trovato tanta frustrazione tra le persone che hanno svolto lavori temporanei per diversi anni (la tipologia in più forte crescita all’interno del mercato del lavoro americano e britannico). A differenza dei lavoratori temporanei che hanno svolto attività del genere per poco tempo e che sono inizialmente entusiasti della libertà che offre, le persone che trascorrono molti anni impegnati in queste operazioni fisse e disconnesse tipiche di un lavoro temporaneo sentono di non riuscire a sviluppare le loro capacità professionali, di non riuscire a coltivare alcuna relazione sociale attraverso il lavoro. Infatti, nonostante vi sia una costante domanda di questo tipo di lavoratori, le persone che svolgono un lavoro temporaneo per più di cinque o sei anni si sentono svalutate, salvo nel caso in cui non vengano salvate dall’offerta di un impiego a lungo termine, il che implica la possibilità di sviluppare una storia di vita tramite il lavoro.
Per tali ragioni, l’esperienza del lavoro per immagini – rappresentata dal punto di vista tecnologico dal lavoro svolto usando uno schermo semplificato, e da quello sociologico in operazioni non collegate tipiche di lavori temporanei in cui non si stabiliscono relazioni umane durature – genera nei lavoratori un senso di distacco e di deriva. L’esperienza del lavoro per immagini manca di profondità e di principi di crescita, di avanzamento. In altri termini, l’esperienza del tempo lavorativo nel capitalismo flessibile si basa su eventi dissociati e seriali. Si potrebbe dire che il lavoro sotto l’egida del “tempo senza tempo” è statico, ma questa stasi differisce, nella sostanza, dalle vecchie forme di routine meccanica. Il lavoro in panetteria, per esempio, cambia ogni giorno, con l’arrivo di ordini per diversi tipi di pane, proprio come il lavoratore temporaneo si sposta da un luogo all’altro, mentre la routine meccanica è immutabile. In entrambi i casi, sebbene prendendo strade diverse, il nuovo mondo del lavoro e quel- lo delle fabbriche del XIX secolo soffrono di una mancanza di indirizzo.

Lo so, ho sottolineato il lato negativo di questo lavoro. Ma lo faccio perché il dominio del lavoro per immagini sfida la sociologia critica, mettendo in discussione le proprie abitudini di rappresentazione. Per affrontare i deficit umani del lavoro nel capitalismo flessibile bisogna porre l’accento sulla freccia del tempo. Fin dalle sue origini, la sociologia si è naturalmente confrontata con questioni legate al cambiamento storico, ma la nar- razione è una categoria speciale del tempo, non identica alla storia.

Testo di Richard Sennett estratto da Perché lavoro? di Axel Honneth, Richard Sennett, Alain Supiot, volume edito da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2020. Scopri di più qui.

Foto in apertura: Flickr | Travis Isaacs

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